Libreria delle donne di Milano  
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L’urgenza di agire e l’urgenza di lasciare andare nell’arte di attrice
di Anna Maria Civico

Ancora non posso pronunciare questa parola. E’ meglio che io la scriva. Solo guardarla. Una cosa scritta e a cui non penso. Come guardare un dipinto. Il disegno della parola. Io la uso. Non sono in quella parola. Ora la osservo. E’ fuori di me. Brucia tra le mani. La riconsegno al più presto.

Torno a prima di averne assunto la responsabilità di dire. Vorrei andare oltre la parola, oltre la scrittura della parola. La scrittura non è il mio campo. Come entrare nel giardino di qualcun altro. Attenzione alle spine! Attenti a non calpestare i fiori!

Piuttosto la parola detta. La voce della parola. L’azione in sé. Non la mia voce. La voce di quella parola. Per quella parola. Da quella parola. L’intonazione. La vibrazione. Il suono. La voce mi rimanda il senso. Entro nel dire come in una incantazione. Prima della parola un pensiero, ma prima ancora un’azione anche solo un battito. Non so’ cosa dico. Questo è importante. Rimando a dopo l’ora della conoscenza. Della comprensione.

Se è possibile leggere oltre. Leggendo. Poichè quando qui dico esperienza (quando ne parlo) e quando dico teatro, lo spettacolo di teatro (quando ne parlo) è già la fine. E l’inizio. Vuol dire che già è accaduto qualcosa. Qualcosa è stato fatto per cui qualcosa possa accadere. L’agire agisce.

Può darsi che sia il corpo a iniziare a fare qualcosa. Come un ragno che tesse la sua ragnatela, solo che qui il filo è molto più sottile. E’ un filo che si percepisce. Ed è anche percepibile. Il carattere di questo filo (che è anche la sua qualità) sta nell’essere percepibile, nell’essere presente o meglio consistente, nell’essere infinito o meglio senza storia. E contemporaneamente sta nel conferire queste qualità (meglio trasmettere) o almeno rendere sensibile a queste qualità. Conferisce. Trasmette sensibilità, trasmette elasticità, trasmette presenza. Conferisce chiarezza. Questi fili che disegnati da me tornano a me. Ora sono trasmettitrice/ore, ora ricettrice/ore di ciò che di me ha dialogato con l’esterno (si è fatto esterno) torna modificato ed è al tempo stesso della mia natura più altro. Io lo ricevo, lo riconosco e mi modifica (modifico?) E’ quasi un’altra immagine a creare.

Poi comprendere. Osservare la conoscenza che mi passa davanti a ondate. Trovarmi nella rivelazione e danzarla, cantarla, acquisire posture d’ascolto. Magari! Magari esserci insieme a qualcuno. E io sono lì anche nelle dita. E la percezione è come dire così commovente che gli umori si sciolgono. E’ come un sentimento puro. Il sentire. Ma non è infinito (non può). E’ presente. Io percepisco, io sento (meglio senza io), (lasciamo crescere le parole!).

Forse, a volte, non c’è traduzione attiva. Forse bisogna aspettare e aspettarsi. Aspettar(si). Vedere agire. Veder(si) agire. Contemplare l’atto del meditare.

E qui dire medit(are) (dirlo sarebbe meglio di scriverlo) è come indicare il verbo (l’azione). Un atto è troppo per meditare! E’ pesante. E qui le regole finiscono, meditare è infinito? L’infinito di meditare non esiste. Medito è l’unica possibilità. Medit(are) è impreciso e vago, non rende la sottigliezza del tempo aperto(si) al meditante. (tra noi) dire anche ascoltare (anche se è più grossolano, viene prima o dopo?, c’è da imparare dalle parole!), io ascolto.
Eppure atto e ascolto sono così vicini! Io atto, meglio attuante (né io, né tu).
E’ necessario che io scriva qualcosa non importa per chi o il motivo, è come servire una necessità la quale, anche, mi alimenta. Il teatro da cui parlo a da cui procedo (funziono quindi apprendo) prende a cuore e parte da l’ascoltare, il sentire, l’intendere e con ciò e perciò quello che produco tende.

Ma siccome sono io a parlarne e questo teatro che mi dovrebbe contenere come un circuito anche di cui, eventualmente, essere funzione, dove è? allora sono io a prendere a cuore ed a partire da ed andare verso l’ascoltare, il sentire, l’intendere lavorandoci su. Spesso, in assenza di sostegni e spazi adeguati e di compagni e compagne di lavoro, io divento il campo d’azione e d’osservazione e testimonianza, il mio corpo ospita questo ed è luogo da cui esercitarmi (anche in atti di vigilanza).

Io guardo agli spettatori con avidità, con attesa e ad un primo sguardo, come a coloro che fanno un atto di resa, momentaneo, verso il mondo, lasciano i loro affari e i loro affanni per dir(si): “ciao, vado a fare una camminata…” “vado a incontrare…” “vado a vedere…” (e voi come guardate chi fa’ il teatro?)

Ecco! Io parlo da questo teatro, fatto da questi puntini di sospensione, d’attesa, d’una qualità d’attesa che è come un atto d’attesa da cui il nutrimento: io cresco in questo teatro, lavoro per crescere (ahi! come è difficile guadagnare da questo e che pena decrescere! )

Ecco, durante una performance io non ho nulla a cui pensare, solo cose da fare ed alla svelta, poi, dopo e più in là, in uno spazio intimo e caldo, odo lontano come il sottofondo di un lavorio incessante di cui mi sembra non essere generatrice piuttosto mi sembra di aver lavorato per poter spiare questo altro lavorio, ed è…a volte, una gioia.

Un lavorio costante che cresce, pulsa, si articola, respira con te, proviene da me, procede da sé e lo so, ’come so’ che l’acqua è trasparente, cioè con la medesima certezza, con la stessa determinazione e questo lavorio non è affatto mio.

Cosa c’entra il cantare con questo? C’entra il cantare come azione e c’entrano i canti (alcuni) che come relitti nell’oceano delle civiltà oltrepassano le funzioni e rimangono in vita malgrado la storia e le storie.

E' a volte possibile spiare questo lavorio, questa pulsazione, esserne sostenuti. Può diventare che attraverso un canto tradizionale si risvegli o si crei un’azione interiore in chi canta ed in qualche modo anche autonoma dalla pulsazione del canto stesso e con cui poter interagire. In chi(spettatore) ascolta, accade qualcosa magari a livello emotivo o a un livello più superficiale che fa dire “mi sembra di ricordare…” oppure “in quella postura sembra che…” E’ come se certi canti e certo cantare siano potenziali porte d’accesso verso questo lavorio
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