VINCERE
IL MALE, STRAVINCERE LA PENA Racconto
di ZINA BORGINI Un giorno mi è capitato di ammalarmi di tumore,
si è avverata così un'ipotesi che avevo messa in conto forse più
per scaramanzia che per convinzione. Tutto l'immaginario che mi ero costruita
su questa malattia è diventato improvvisamente una realtà con cui
fare i conti. Mi è successo più o meno come a tante donne del
mio tempo, una palpazione più approfondita del seno una sera d'estate dopo
la doccia mi mette in allarme, un gonfiore sospetto e subito l'idea che possa
trattarsi di tumore mi riempie la notte. Per giorni mi autorizzo a pensare
che non sarà nulla di grave , ma il dubbio rode. Sono a conoscenza
delle dinamiche per affrontare il problema, un po' per pura informazione preventiva,
un po' per i racconti di amiche che ci sono passate prima di me. A questo
punto decido di fare la prima visita in un centro milanese di cui mi hanno parlato
donne con cui sono in relazione. L'oncologa del centro vista la mammografia
e l'ecografia che evidenziano un nodulo sospetto, me ne consiglia l'asportazione
per identificare meglio la sua natura, dice che si potrebbe anche fare un ago
aspirato, ma questo esame non è sempre attendibile. Ancora non si parla
di tumore ne di urgenza immediata di sottopormi al bisturi. L'estate è
alle porte, nel progetto c'è un viaggio in Nepal, ma sull'onda degli eventi,
preferisco pensarmi in campagna a casa di amiche che fanno medicamenti curativi
con le erbe e cercare con loro un possibile rimedio per ridurre il nodulo. Mi
prendo un mese di tempo per decidere come e dove vorrò farmi operare.
Mi piace molto la campagna perché di giorno ci sono sempre un sacco di
cose da fare, la raccolta nell'orto, le conserve, il tempo del pranzo e della
cena più prolungato, il tempo per perdersi in chiacchericci e poi c'è
il silenzio della notte interrotto solo dal rumore degli animali. Amo vivere
una parte della notte senza dormire è il tempo che dedico a leggere a pensare,
mi accorgo, che quando rifletto su quello che mi sta capitando, non sento panico
ne ansia, ma piuttosto una forte determinazione a vincere il male e incomincio
a mettere in conto il peggio per non trovarmi spiazzata. Così passa
il mese di agosto. I primi di settembre mi sottopongo a una seconda visita
dall'oncologa, stabilisco con lei un rapporto molto essenziale ma di fiducia ,
la sento molto sicura, preparata, inoltre percepisco una certa complicità,
la sento dalla mia parte e ciò mi rassicura, di rimando lei intuisce che
non ho paura e la mia determinazione, decidiamo insieme di scegliere il chirurgo
che dovrà operare tra quelli che lei mi consiglia. E' tempo di Rassegne
Cinematografiche a Milano, così un giorno tra una proiezione e l'altra
mi ritrovo nello studio del chirurgo con tutti gli esami eseguiti, gli comunico
che non ho intermediari e che voglio la verità e sapere soprattutto cosa
mi aspetta. Dopo la palpazione e la consultazione delle radiografie mi prospetta
la possibilità al 90 per cento che si tratti di un tumore e non mi lascia
scelta , ricovero immediato. A questo punto metto in moto tutta la mia forza
per non farmi prendere dallo sconforto, soprattutto cerco di non coinvolgere emotivamente
chi mi sta intorno, parlandone minimizzo che la diffusione dei tumori ha messo
la ricerca medica nella condizione di tenere sotto controllo questa malattia;
mi accorgo che ancora non arriva la paura e cerco di stare nel reale con una gran
voglia di superare questo tiro sbieco del destino. A metà settembre
vengo operata e mi viene asportato un carcinoma duttale che ha intaccato due linfonodi
su trentasei che mi sono stati tolti. Ora sono passati quattro mesi dall'operazione,
ho fatto un ciclo di chemioterapia preventiva , tutto procede per il meglio, durante
il percorso ho cercato di non farmi scivolare nulla addosso di stare molto attenta
a concordare ciò che veniva fatto al mio corpo là dove ho potuto,
ma ho dovuto anche fare delle mediazioni dove mi conveniva per stare meglio e
non perdere energie. Ho cercato di non dare troppa importanza ai luoghi comuni
e agli atteggiamenti correnti che mi hanno toccata inevitabilmente. Penso
al comportamento dell'oncologa della struttura pubblica dove sono stata ricoverata
che con un modo un po' altezzoso mi ha accusata di non aver fatto la mammografia
ogni anno offendendomi con un "voi donne vi trascurate" che mi inchiodava
in un numero imprecisato di incapaci disprezzando la categoria a cui lei stessa
si pensa appartenga, o del chirurgo che forse (?) solo per farmi coraggio mi dice
prima dell'operazione. "Vedrà che le farò un seno da quindicenne"
Peccato che di seni ne ho due e ora uno è alto e l'altro basso, ma non
mi dilungo in questo un'inutile elenco di luoghi comuni che a volte vengono usati
per comodità o solo per consuetudine. Invece vorrei dire quanta rabbia
ho accumulato ascoltando quelle persone, che, con parole o solo sguardi , mi coprivano
di pena, o si sentivano autorizzate ad atteggiamenti commiserevoli, preventivandomi
addirittura mali che neppure percepivo, atteggiamenti che mi infastidivano soprattutto
perché annullavano la mia diversità riducendomi a una malata precostituita
nel loro immaginario, da commiserare e consolare, cosa che io assolutamente non
gradivo. Questo comportamento mi infastidiva a tal punto da provocare in
me una reazione conseguente carica di risentimento e di sopraffazione, da farmi
dire parole di tracotanza, cosa che non rifletteva il mio vero stato d'animo.
La fatica di non farmi opprimere dal cancro e di mantenere un atteggiamento guardingo
e battagliero, che era il vero atteggiamento che avevo deciso di adottare, subiva
con queste persone un rovesciamento totale da farmi percepire come una persona
arrogante e onnipotente. Allora riflettendo mi dico: quel di più che
mi fa eccedere verso atteggiamenti incontrollati e sopra le righe, che menzionava
anche Lia Cigarini (ultima redazione di Via Dogana) a proposito di alcune donne
che in fase di divorzio diventano oltremodo aggressive, è un effetto dovuto
a un senso di rivalsa su qualcuno/qualcosa che offende e ferisce. Se questo
spostamento sia giusto o meno , non so dire, lo penso come una strategia che in
certi momenti uso incontrollatamente, forse perché la ritengo più
efficace a creare distanza, certo mi toglie la gioia e la dignità di mostrarmi
per quello che sono e sento veramente. [email protected]
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