CHI
HA PAURA DELLA DEMOCRAZIA? (a proposito di arte e politica) Ho
assistito impotente, qualche mese fa, alla morte di un gruppo di donne, di quelli
nati perché tutte potessero crescere e, tra donne, prendere coscienza della
differenza politica del proprio genere; la fine non è stata serena, molto
è rimasto a metà, lasciando ciascuna a riflettere sulle cause e
a ricomporre i cocci di relazioni spezzate. Che cosa non ha funzionato? Anche
se la sostanza era buona, anche se c'era un progetto politico che è servito
di stimolo a fare, studiare, scrivere, confrontarsi, credo che questa associazione
di donne in arte non sia riuscita a sopravvivere soprattutto a causa della mancanza
di una gestione democratica, nella quale, cioè, le decisioni venissero
prese collettivamente e a maggioranza sulla base di una quantità sufficiente
di valori condivisi . Si trattava di una realtà politica "alternativa",
altra rispetto ai modelli istituzionali maschili e per questo preziosa e da difendere
ma nella quale bastava, in presenza di divergenze, l'accordo di due o tre persone
più forti (autorevoli?) delle altre: non era richiesta da nessuna nessun'altra
verifica. La forza era considerata un valore più importante della mediazione
e i primi bisogni che dovevano essere soddisfatti erano il bisogno di affermazione,
di rottura rispetto ai modelli dominanti, di identità; esigenze sacrosante,
e tutte sappiamo quanto difficili da esprimere e sviluppare, ma scambiate, al
loro apparire, per manifestazioni del profondo femminile e come tali indiscusse,
non abbastanza indagate, anzi spesso affermate in modo da impedire l'ascolto di
esigenze e voci diverse o più miti, in una negazione di fatto della pluralità
delle opinioni. La confusione tra Io e Noi, il parlare a nome dell'associazione
esprimendo in realtà pareri personali, era spesso la norma. La rudezza,
i silenzi a volte impietosi hanno sempre prevalso su accoglienza e gentilezza
e, nonostante si fosse un gruppo di donne attive in campo artistico, è
sempre emersa la difficoltà ad ascoltare-guardare le parole e le opere
delle altre, in un terreno minato da sguardi mancati, mancati riconoscimenti.
Rimangono dunque molte domande che non hanno avuto risposte da quella pratica
politica e che vorrei porre ad una più ampia comunità femminile:
1 Dare spazio al desiderio è stato ed è una parola d'ordine sicuramente
affascinante e motrice di forze prima inespresse, ma come garantire che i desideri
di alcune non prevarichino quelli di altre? 2 Come superare fragilità
personali e relazionali, fragilità dei forti e fragilità dei miti,
fragilità che creano distruzioni e fragilità che le patiscono, impedendo
che prevalgano le prime? 4 Come mediare tra urgenze personali e la necessità
di darsi regole di civile convivenza? La mia ipotesi è che una gestione
democratica delle relazioni e del potere possa evitare degenerazioni e morti premature:
penso infatti che solo una politica che sappia nutrirsi delle differenze sia in
grado evolversi, soprattutto quando si accompagna ad una ricerca artistica.
Non parlo di democrazia formale; mi riferisco alla dimensione morale, direi relazionale,
dialogica della democrazia, che nasce dal riconoscimento dell'altro come valore,
chiunque sia. Elisabetta
Baudino Sintesi dell'intervento pubblicato sul sito www.url.it/oltreluna/vocidiartiste
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