Libreria delle donne di Milano
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CHI HA PAURA DELLA DEMOCRAZIA?
(a proposito di arte e politica)

Ho assistito impotente, qualche mese fa, alla morte di un gruppo di donne, di quelli nati perché tutte potessero crescere e, tra donne, prendere coscienza della differenza politica del proprio genere; la fine non è stata serena, molto è rimasto a metà, lasciando ciascuna a riflettere sulle cause e a ricomporre i cocci di relazioni spezzate. Che cosa non ha funzionato?
Anche se la sostanza era buona, anche se c'era un progetto politico che è servito di stimolo a fare, studiare, scrivere, confrontarsi, credo che questa associazione di donne in arte non sia riuscita a sopravvivere soprattutto a causa della mancanza di una gestione democratica, nella quale, cioè, le decisioni venissero prese collettivamente e a maggioranza sulla base di una quantità sufficiente di valori condivisi .
Si trattava di una realtà politica "alternativa", altra rispetto ai modelli istituzionali maschili e per questo preziosa e da difendere ma nella quale bastava, in presenza di divergenze, l'accordo di due o tre persone più forti (autorevoli?) delle altre: non era richiesta da nessuna nessun'altra verifica. La forza era considerata un valore più importante della mediazione e i primi bisogni che dovevano essere soddisfatti erano il bisogno di affermazione, di rottura rispetto ai modelli dominanti, di identità; esigenze sacrosante, e tutte sappiamo quanto difficili da esprimere e sviluppare, ma scambiate, al loro apparire, per manifestazioni del profondo femminile e come tali indiscusse, non abbastanza indagate, anzi spesso affermate in modo da impedire l'ascolto di esigenze e voci diverse o più miti, in una negazione di fatto della pluralità delle opinioni. La confusione tra Io e Noi, il parlare a nome dell'associazione esprimendo in realtà pareri personali, era spesso la norma. La rudezza, i silenzi a volte impietosi hanno sempre prevalso su accoglienza e gentilezza e, nonostante si fosse un gruppo di donne attive in campo artistico, è sempre emersa la difficoltà ad ascoltare-guardare le parole e le opere delle altre, in un terreno minato da sguardi mancati, mancati riconoscimenti.
Rimangono dunque molte domande che non hanno avuto risposte da quella pratica politica e che vorrei porre ad una più ampia comunità femminile:
1 Dare spazio al desiderio è stato ed è una parola d'ordine sicuramente affascinante e motrice di forze prima inespresse, ma come garantire che i desideri di alcune non prevarichino quelli di altre?
2 Come superare fragilità personali e relazionali, fragilità dei forti e fragilità dei miti, fragilità che creano distruzioni e fragilità che le patiscono, impedendo che prevalgano le prime?
4 Come mediare tra urgenze personali e la necessità di darsi regole di civile convivenza?
La mia ipotesi è che una gestione democratica delle relazioni e del potere possa evitare degenerazioni e morti premature: penso infatti che solo una politica che sappia nutrirsi delle differenze sia in grado evolversi, soprattutto quando si accompagna ad una ricerca artistica.
Non parlo di democrazia formale; mi riferisco alla dimensione morale, direi relazionale, dialogica della democrazia, che nasce dal riconoscimento dell'altro come valore, chiunque sia.

Elisabetta Baudino
Sintesi dell'intervento pubblicato sul sito www.url.it/oltreluna/vocidiartiste

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