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BAMBINI SCHIAVI

L'orrenda notizia di un migliaio di bambine e bambini bulgari, trasportati in Italia da clan malavitosi, e qui addestrati al furto e alla prostituzione, arriva come uno schiaffo che obbliga la coscienza a risvegliarsi da una sonnolenza greve e diffusa.
Perché succedono queste cose?
Il delinquente ha un appiglio in un ordine simbolico, che non è estraneo neppure all'uomo comune?
Credo di sì. E credo che abbia a che fare con la coscienza assonnata. O anche con la coscienza alienata dall'idea , comune, della manipolabilità dell'esistente. E' la banalità del male, direbbe Hannah Arendt.
L'orrore quotidiano della degradazione dell'esistente non viene percepita, eppure opera come volontà di demolire ciò che non si presta ad essere strumentalizzato. E' come dire: l'altro c'è, e questo non si può negare, ma non lo si riconosce in quanto valore che sta in sé, ed è per sé, perché possa darsi in una relazione autentica. Lo si riconosce nella forma dell'uso, in quando bene strumentale, che potenzia l'io che degrada il tu a cosa, sia questo tu albero, pietra, cane, uomo, donna. O bambino e bambina.
Questa concezione strumentale dell'esistenza, che si fa pratica disinvolta, è quasi diventata una seconda natura. Seconda, comunque, non prima e primaria, perché all'origine la vita si manifesta come creazione dell'altro. Un bimbo, una bimba vengono al mondo, come altro dal corpo materno e paterno, come un per sé che si sviluppa in quella forma di relazione in cui l'essere l'un l'altro è vita crescente. Questo l'un l'altro, infatti, si autoalimentano relazionandosi. Insieme fanno la vita che vediamo alle origini, insieme sono la struttura prima, aperta al futuro.
Credo che la primarietà della vita sia nel tendere dinamico dell'uno verso l'altro in un equilibrio aperto che lascia l'uno e l'altro accresciuti. D'altra parte quando questo succede si prova una grande gioia.
Credo che oggi urga sperimentare un nuovo esodo, l'esodo della primarietà dalla secondarietà. La secondarietà si configura come un Egitto opprimente, dove, è vero, Faraone lascia mangiare pignatte di carne insieme ad angurie e meloni, ma dove non è dato esprimere la forza dell'intelligenza, dello sviluppo creativo, della possibilità di incontrarci viso a viso con la nostra liberazione. Questo Egitto di oggi è tutt'uno con la signorìa della tecnica , che si è autorizzata a credere, e a farci credere, nell'infinita manipolabilità dell' altro.
Ne viene che la liberazione consiste in un toglimento, un togliersi concreto dalle relazioni strumentali in cui non è dato di essere sè, in quanto valore in sé e per sé. Questo toglimento è una pratica viva, non una sottrazione, e una fuga ,dal mondo, ma un confronto con il mondo esercitato con strumenti critici che via via si affinano e diventano più vivaci.
Questo toglimento implica che chi lo opera non ha interesse a manipolare gli altri. Non solo, ma prova disgusto ad esercitare il potere che intuisce come male. Il male assoluto.
A mano a mano che la quotidianità trapassa dalla pratica del potere alla relazione viva e reale, si determinano le condizioni di rigetto della violenza.
La convinzione che la vita accresce nella autenticità delle relazioni disarciona l'idea della manipolabilità tecnica dell'altro, o la necessità della sua soppressione simbolica.
E disarciona quelle pratiche delinquenziali che fanno dei bambini oggetti di piacere sconcio, di sfruttamento turpe, che fanno di una bambina bulgara tredicenne un corpo violato, un corpo in attesa di un altro bambino, un corpo a cui è stata rapinata l'anima e che perciò può, e deve, borseggiare i turisti nelle piazze di Venezia.

ELVIA FRANCO
30-05.-06


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