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Benvenute antifemministe

Qua e là si assiste a scoppi di un antifemminismo che sorprende perché vengono non da uomini di destra, non da monsignori che scrivono sull'Osservatore romano, ma da donne di sinistra. La nostra rovina sono state le femministe, avrebbe detto, secondo i giornali, una nota deputata dei Comunisti italiani. In passato dalle donne potevano venire critiche: "le femministe esagerano" o prese di distanza: "io non sono femminista", ma sotto sotto si sentiva la complicità: "però…", sottinteso: un po' di ragione ce l'hanno.
L'antipatia odierna è una novità. Alle femministe si rimprovera, da parte di donne spesso sui quaranta, cose molto diverse, ma in sostanza le femministe hanno un torto unico e grande, ed è che sono ingombranti. Il femminismo è come uno di quei grandi edifici che, per quanto giri, appena alzi gli occhi lo vedi che ingombra l'orizzonte. L'obbligo di riconoscenza verso il femminismo, una se lo ritrova stampato sul certificato di nascita, riconoscenza per cose che le nuove venute considerano ovvie, come la libertà di muoversi, la scelta degli studi, la gravidanza fuori dal matrimonio (liberamente decisa, va da sé). D'altra parte, di quelle ingombranti femministe, per lo più ben sistemate nel lavoro come nella società, nessuna che aiuti le nuove venute a misurarsi con il mercato del lavoro, che è diventato una giungla. C'è da aggiungere che le femministe non occupano solo il passato e il presente, ma anche il futuro. Se una prende a interessarsi di politica, per esempio, si ritroverà un'agenda già scritta e piena di obiettivi, programmi, discorsi e parole d'ordine che hanno tutti, più o meno, un'impronta femminista. Sarebbe come andare al liceo e per anni dover finire i temi che le compagne più vecchie hanno lasciato indietro. Con l'aggiunta che queste non se ne sono andate, invecchiano bene e sono ancora lì, non per fare ombra, al contrario, per vedere le più giovani realizzare le grandi promesse del femminismo, in primo luogo quella di un protagonismo femminile che dovrebbe caratterizzare il terzo millennio.
Siamo al nodo della faccenda, secondo me, ed è che loro, le nuove venute, non possono fare questa parte, anche se lo volessero, perché non si sentono protagoniste. Perciò quello che provano è un senso d'insofferenza, esasperato dall'impotenza ed è questa, io credo, la radice dell'antipatia che serpeggia nei confronti del femminismo, come verso una madre che non si è mai accontentata di piccole cose ed è piena di grandiose aspettative, ma non conosce i cambiamenti in corso e non è realistica.
Secondo me, nell'antipatia delle quarantenni per il femminismo c'è qualcosa di sano. Metto da parte la presa di posizione di Katia Bellillo, la deputata che citavo all'inizio, perché lei separa le richieste delle donne comuni (servizi sociali migliori) dalle ambizioni di una minoranza che vuole affermarsi nella vita pubblica. C'è veramente questa separazione? Oggi le aspirazioni sono mescolate e il problema di molte, moltissime, è di tenere insieme la vita affettiva personale con qualche forma di successo, intendo: un'affermazione di sé agli occhi di altre persone. Difficile? Ne sono convinta, ma sono queste donne che ho in mente, bloccate quasi dai loro stessi desideri ai quali non vogliono rinunciare. Che cosa se ne fanno del mio femminismo? Il femminismo conosce questo nodo problematico, nel senso che lo ha prodotto, ma non ha le parole per scioglierlo, anche perché del tempo presente, difficile da leggere, una cosa si più dire per certo, che è molto diverso da trent'anni fa, quando iniziò il movimento femminista.
Ogni scelta che facciamo, ogni direzione che prendiamo, se sono significative (e tali furono quelle del femminismo), inevitabilmente lascia fuori altre scelte e altre direzioni e sarebbe un guaio andare avanti come se queste non esistessero. Ben venga, dunque, l'antifemminismo capace di far tornare in gioco quello che abbiamo ignorato o escluso, perchè apre nuovi passaggi al libero movimento del desiderio femminile.

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