Bergamo,
12.12 - rivisitazione 10.2.05
"ALICE ABITA SEMPRE
QUI" Pasqua Teora
Saranno anche i soliti temi, ma sono
soprattutto i temi delle realtà di quasi tutte/i noi: i soldi che valgono
la metà e non son più sufficienti a vivere; il tempo che non basta,
ne serve di più, sempre di più; l'inutile corsa infinita che ci
spezza il fiato
ma son sempre più convinta che lo scopo dev'essere
un altro
e mi soffermo
respiro e mi domando, ma perché così
tanti astrusi salti obbligati, ostacoli, sgambetti e corse a staffetta, inganni
da passarci di mano in mano. Alice abita sempre qui! Qual è lo scopo, cosa
stiamo accettando e trasmettendo nella corsa senza fine, con il Bianconiglio che
in una realtà surreale alienato e svagato misura con la cipolla in mano
tempi, prestazioni, ambizioni che ci sottraggono alla nostra umanità? Noi,
le più grandi di età, a caldo, eravamo inclini a pensare quanto
fossimo fortunate - nonostante tutto - meglio attrezzate qui, da noi, rispetto
all'altra fetta di umanità che altrove ecc. ecc. La più giovane
di noi tentava invece di parlare del suo non farcela più: le bambine da
crescere, i soldi
che non bastano mai, l'inquinamento, le nevrosi dei bambini
piccoli, la fatica inenarrabile delle mamme lavoratrici, senza appoggi familiari,
del tenere insieme i pezzi: libera professione, bambini, marito, la formazione
permanente, la spesa quotidiana con la pretesa di preparare cibo sano e coltivare
relazioni significative, nutrienti. Pietà anche per noi!!! In un certo
modo gridava la donna più giovane, anch'io son satura di dolore e senso
d'impotenza! Ma come, dolore, pietà per noi? Ma che faccia tosta che
abbiamo! Noi che possiamo comprare, possiamo ancora respirare, possiamo usare
le vetture, vestirci come ci pare, con decenza, perfino con eleganza. Noi che
non siamo in guerra, a cui non ammazzano i bambini, noi che possiamo parlare
che tanto nessuno ci sente! Tanto non ci ascolta nessuno! L'ho capito solo al
risveglio che, anche se lo scenario par diverso, per noi è lo stesso. Intendo
dire che è lo stesso sistema, con lo stesso meccanismo profondo che distrugge
uomini e donne là nei territori della carestia, della cosiddetta guerra
preventiva, dell'inganno che genera pazzia; è lo stesso sistema che costringe
troppi, troppissimi di noi, qui, a comprare e a buttare, a correre, ad indebitarci
come scemi per sopperire alla fame di relazione, per bisogno d'attenzione, d'amore,
per sesso represso, per resa dei conti, per consegna della borsa, no, della vita! La
disperazione degli altri lontani, distanti dentro una guerra troppo visibile:
fotografata, filmata, una realtà truccata, manipolata come fosse cinema,
teatro che racconta mondi surreali, apparentemente altri, illusoriamente lontani
dai nostri. Loro, quelli legittimati a patire e riconoscere ogni struggimento.
Ed è lì che si mostra in tutta la sua grandezza l'ombra del nostro
mondo, del nostro villaggio globale. Qui da noi la disperazione invece è
nascosta, è interiore, da occultare, di cui vergognarci, da psicosomatizzare,
di cui farci curare perché - ci vien lasciato intendere - abbiamo tutto,
mentre gli altri hanno niente! E nonostante ciò, noi siamo infelici! Allora
siamo incontentabili, vergognatevi! Urla una voce che dentro ci cucina ben bene
al fuoco continuo dei sensi di colpa della cosiddetta classe dominante. Stato
d'animo che ci confonde, ci fiacca lo spirito e ci espone a fare continui giri
di boa: Piccoli criceti in corsa, in fuga da che, forse da noi stessi, tabernacoli
viventi di consapevolezza negata. Così, anche del diritto al dolore
e all'angoscia veniamo espropriati, ci viene tolto l'urlo muto, il grido d'orrore
dinanzi alle solite scene che non sono mitologia narrata, è il sacro che
ci vomita dentro, e noi, guardando altrove, ci chiudiamo la bocca, ci vomitiamo
dentro. Ci viene tolto il tempo dell'amore, della carità, della gioia,
il sentimento altrettanto sacro che ci porterebbe da loro, là! Ah
se esistesse il teletrasporto
del cuore attaccato al corpo
saremmo
sul posto, a scavare nella terra fosse per le sorelle, i fratelli ammazzati, per
tutti gli insepolti e poi un requiem a fil di labbra, per spostarci ai lavatoi,
ai pagliericci, ai fuochi, ai forni, a cucinare minestre e torte per i vivi, specialmente
per i bambini. Maledizione! Non ne possiamo più di far la parte delle fortunate,
delle fottute privilegiate. Maledetti, i venditori di guerra, i commercianti di
armi, i raccoglitori di organi e gli organizzatori di bordelli, di fosse comuni
in cui far schiavi i bambini e ad essi incatenare plotoni di uomini che Maga Circe
sempreviva, instancabile, trasforma in porci: animali ghiotti di carne umana,
zombi in cerca di luce e di carne d'infanti, quasi fosse, per i maledetti da Dio,
un'orrida, folle ricerca di resurrezione. Io
lavoro molto, faccio psicoterapia, formazione, qui, nel mio quotidiano ho la mia
Africa, il mio terzo, quarto e quinto mondo e dando una mano a chi vuol cambiare,
cambio e mi evolvo io stessa: prendo sul serio la sofferenza, il disadattamento,
le strade che paiono chiuse, sempre uguali, apparentemente a circolo cieco per
generare insieme a chi mi si rivolge una consapevolezza che spesso è già
lì, appena sotto la loro pelle, altre volte invece è più
nascosta, profonda nelle viscere o nel cuore di chi non ce la fa più. Riconoscere,
consapevolizzare sono passi fondamentali per trasformare dopo la sofferenza, dopo
il senso di non potere, di non responsabilità, passi, uno dopo l'altro
verso atti creativi e di irriverenza rispetto al proprio sistema dominante, al
proprio sistema di appartenenza quando esso così com'è vincola,
oltre ogni ragionevole sacrificio di sé ed implica il sacrificio del mondo.
E forse sarà - ancor più importante - creare una lente d'ingrandimento
capace di farci vedere i prodromi già presenti di ciò che andiamo
cercando e tutti i miracoli già esistenti che crescono tra noi senza far
rumore. Miracoli, pianticelle, preghiere da far volare lungo l'infinito percorso
della vita in cui la ricerca non deve finire mai. E la consapevolezza me la voglio
tenere, la voglio salvare anche se mi fa soffrire e voglio reggere, con chi mi
sta vicino, i conflitti tra le parti, i paradossi, non voglio rinunciare all'ironia,
a ridere ad amare, non rinuncio al sogno che si fa invenzione e progetto, non
rinuncio alla speranza attiva, alla musica, alla poesia, al sole, al cielo e al
verde dei prati. Ah
già, anche a mangiare l'insalata con le mani.
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